Un nome che non è il mio” è un cortometraggio animato, un racconto sull’inestimabile valore della memoria che per tutta la giornata del 27 gennaio sarà proiettato in una delle stanze della Testimonianza del Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano.

Quando verrà trasmesso “Un nome che non è il mio”?

“Se facessimo un minuto di silenzio per ogni vittima della Shoah, dovremmo restare in silenzio 11 anni e mezzo”. Comincia così il racconto del cortometraggio animato “Un nome che non è il mio”, prodotto da Brand-Cross in collaborazione con Rai Kids e Rai Com in occasione del Giorno della Memoria con l’obiettivo di ridare voce e dignità a tutte quelle persone che l’hanno persa, in onda in prima tv assoluta lunedì 27 gennaio alle 19:35 su Rai Gulp, disponibile su RaiPlay e proiettato per tutta la giornata del 27 gennaio al Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano.

giorno della memoria

Il Memoriale della Shoah

Luogo dedicato al ricordo delle vittime dell’olocausto in Italia, da cui fra 1943 e il 1945 partirono i treni della deportazione nazifascisti, oggi il Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano è un centro di cultura e laboratorio di cittadinanza. Lunedì 27 gennaio sarà possibile vedere il corto “Un nome che non è il mio” presso una delle stanze della Testimonianza, dalle 09:30 alle 19:00. È possibile prenotare l’ingresso al Memoriale a questo link: https://www.memorialeshoah.it/visita/.

Trama

Il racconto prende il via nella Varsavia del 1939, quando il piccolo Janusz (Samuel Ventura) sale sul furgone dell’infermiera Irena Sendler (Debora Palmieri), lascia la mano della madre e vede i suoi genitori sparire all’orizzonte. Con un balzo temporale, i telespettatori trasportati ai giorni nostri, tra le strade di Vienna, dove il giovane Marcus (Marco Arzani) imbratta un muro con il simbolo della svastica insieme ad altri ragazzi incappucciati, che scappano non appena arriva Rudolf (Gian Carlo Dettori), il nonno di Marcus.

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I ghetti

Da questo momento inizia il racconto di Rudolf, che per la prima volta svela alla sua famiglia una verità che aveva sempre tenuto per sé: partendo dall’invasione della Polonia, dalla segregazione degli ebrei nei ghetti, spogliati di tutti i loro averi e dei loro diritti, e dalla deportazione nei campi di sterminio, Rudolf narra anche di persone che non rimasero indifferenti di fronte a quell’abisso di dolore e cattiveria e che decisero di rischiare la propria vita per salvare quella di perfetti sconosciuti.

“la Schindler di Varsavia”

Come Irena Sendler, “la Schindler di Varsavia” che portò fuori dal ghetto quasi 3000 bambini ebrei e, tra questi, anche lo stesso Rudolf, che alla fine si scopre essere, in realtà, il giovane Janusz. Affidati a famiglie polacche o a istituti religiosi, infatti, i bambini ebrei salvati da Irena presero le generalità di altri bambini scomparsi e cominciarono a vivere le vite di qualcun altro, con altri nomi e altri compleanni. Lontani dalle loro famiglie ma vivi, quei bambini hanno potuto crescere e diventare grandi, grazie all’aiuto di chi ha deciso di non voltarsi dall’altra parte.